PRIMAVERA 2014
di Enrico Cogno
Tra i beni d’eccellenza, ormai si distinguono, finalmente, i beni etici: esistono ad esempio i diamanti “buoni” (buoni da tutti i punti di vista, ambientale, sindacale, sociale e politico) cioè estratti in modo da non cacciare i boscimani del Kalahari dalle loro terre per far posto alle miniere di pietre preziose, oppure diamanti estratti in Canada con il massimo riguardo per l’ambiente e le popolazioni indiane del luogo, che ricevono una parte dei profitti. Hanno un certificato di garanzia “no conflict”. Dal 2000, infatti, è in vigore il sistema di certificazione che preclude il mercato alle pietre che finanziano conflitti. Ora i diamanti della Sierra Leone, per esempio, sono “puliti”: la guerra è finita e le miniere non sono più sotto il controllo dei ribelli.
Il lusso etico, evidentemente, non riguarda solo le pietre preziose ma, ad esempio, le piscine riscaldate da impianti solari, o interi borghi esclusivamente alimentati da fonti di energia pulita.
Anche arredare con il legno pregiato è un lusso ecocompatibile purché ne sia garantita la provenienza da foreste gestite in modo corretto, dal punto di vista ambientale e sociale. Infatti, persino il legno può essere generatore di conflitti: il wengé, in Congo, è tagliato ed esportato illegalmente dagli eserciti per comprare le armi.
Il lusso etico riguarda anche la tavola: le ostriche, come vongole e cozze, sono l’unico allevamento di pesce approvato poiché purificano il mare filtrando l’acqua.
Da escludere lo shahtoosh, una sciarpa lussuosissima il cui commercio è vietato in tutto il mondo dal 1979: si ricava, infatti, dalla lana di chiru, una rara antilope selvaggia dell’Himalaia, sottoposta a caccia spietata perché non può essere tosata se non da morta.
Etica, tra le fibre preziose, è la vicuña. Non è più in via d’estinzione e aiuta lo sviluppo della popolazione delle Ande peruviane, che vive di pastorizia.
Insomma, si allarga una nuova attenzione ai concetti di unicità, qualità e diversità. Era ora.