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Fendi inaugura la mostra Arnaldo Pomodoro

Fendi inaugura la mostra Arnaldo Pomodoro

FENDI dà il via all’interno della propria sede - il Palazzo della Civiltà Italiana a Roma - la mostra Arnaldo Pomodoro. Il Grande Teatro delle Civiltà, a cura di Lorenzo Respi Andrea Viliani in collaborazione con Fondazione Arnaldo Pomodoro.

La mostra sarà visitabile ad ingresso libero dal 12 maggio fino al 1° ottobre 2023.

La collaborazione tra Fondazione Arnaldo Pomodoro e FENDI rientra in una partnership più ampia volta a unire il rispetto per l’eredità storica al sostegno e alla diffusione dei linguaggi artistici contemporanei e alla ricerca di nuove forme di collaborazione basate sulla sostenibilità e l’innovazione. Concepita per gli spazi sia interni che esterni del Palazzo della Civiltà Italiana all’EUR – che dal 2015 ospitano la sede romana di FENDI – la mostra attraversa settant’anni di ricerca dell’artista, configurandosi come un “teatro” autobiografico, al contempo reale e mentale, storico e immaginifico, in cui vengono messe in scena circa trenta opere realizzate da Pomodoro tra la fine degli anni Cinquanta e il 2021, insieme a una serie di materiali d’archivio – fotografie, documenti, bozzetti, disegni, molti dei quali inediti – che evocano lo spirito e l’atmosfera dello studio e dell’archivio dell’artista.

Il Grande Teatro delle Civiltà esplora l’interconnessione, nella pratica di Pomodoro, fra arti visive e arti sceniche e mette in evidenza il rapporto tra la dimensione progettuale dell’opera e la sua realizzazione. Una trama da cui emergono i possibili e molteplici riferimenti a quelle “civiltà” arcaiche, antiche, moderne, o anche solo fantastiche, a cui l’opera di Pomodoro costantemente rinvia, originando forme e materie che sono al contempo memoria del passato e visione del futuro e che rifondano le nostre conoscenze e i nostri immaginari, la nostra esperienza del tempo e dello spazio, della storia e del mito.

 Il percorso della mostra prende avvio ai quattro angoli esterni dell’edificio dove sono poste le quattro sculture Forme del mito(1983) – Il potere (Agamennone), L’ambizione (Clitennestra), La macchina (Egisto) e La profezia (Cassandra) – tratte dalle macchine sceniche che furono realizzate per il ciclo teatrale dell’artista Emilio Isgrò, ispirato all’Orestea di Eschilo, svoltosi sui ruderi della piazza di Gibellina distrutta dal terremoto del Belice. Inserendosi come quinte tra il Palazzo, il paesaggio naturale e la comunità urbana circostante, le quattro Forme del mitoridisegnano e ri-significano l’edificio, trasformando il cosiddetto Colosseo Quadrato – una delle architetture simbolo del Modernismo e del Razionalismo italiano – in un’opera aperta, reinterpretabile e riprogettabile, e non quindi definita una volta e per sempre.

Nel vestibolo di ingresso del Palazzo delle Civiltà Italianacompaiono due opere-costume realizzate dall’artista per due spettacoli teatrali: il Costume di Didone (per La tragedia di Didone, regina di Cartagine di Christopher Marlowe, messa in scena a Gibellina nel 1986), e il Costume di Creonte (per Oedipus Rex di Igor’ Stravinskij, rappresentato a Siena nel 1988). Prodotti con materiali scultorei abbinati a materiali effimericome la rafia e il tessuto, questi costumi richiamano le iconografie e la drammaturgia della Grecia arcaica così come le antiche iconografie e tecniche tradizionali delle opere d’arte africane e asiatiche, riattivando il racconto delle storie leggendarie di Didone e di Edipo.

La mostra continua in due sale speculari e una sala di raccordo, pensate come due atti di un’opera teatrale con un intermezzo. Negli ambienti principali troviamo due opere di colore opposto, allestite simmetricamente: Le battaglie (1995), di colore nero, e Movimento in piena aria e nel profondo (1996-1997), di colore bianco.

La prima con le sue forme angolari, spigolose e taglienti e i diversi materiali utilizzati (grovigli di corde, cunei, bulloni) evoca la Battaglia di San Romano di Paolo Uccello, capolavoro del Rinascimento. Accanto a questa sono allestite altre due opere che approfondiscono il racconto della ricerca di Pomodoro: la Grande tavola della memoria (1959-1965), una riflessione sul bassorilievo e sulla tecnica antica della fusione sull’osso di seppia, e Il cubo (1961-1962), opera che coincide con l’avvio di una ricerca sulle forme elementari della geometria euclidea.

Nella seconda sala l’opera Movimento in piena aria e nel profondo, composta da una duplice curva riferibile ai grandi spazi celesti e terrestri, rappresenta l’agire scultoreo come “scavo dentro la complessità delle cose” che si solidifica nella consapevolezza di poter “curvare il tempo e lo spazio”.

Accanto è esposta un’opera che idealmente dona circolarità alla mostra, permettendo di ribaltare il suo finale e ripartire dal suo incipit: Continuum (2010), un grandioso rilievo interamente occupato dai segni caratteristici delle prime opere dell’artista, una sorta di “tracciato” che reca i codici e l’inventario di tutta la sua “scrittura”.

In queste due sale, come una mostra nella mostra, sono inoltre presentati materiali progettuali e documentari, perlopiù inediti, – libri d’artista, schizzi, disegni, modellini, lettere, fotografie, cataloghi, materiali di studio dei progetti più significativi – allestiti dentro bacheche cassettiere e rastrelliere apribili e consultabili dai visitatori, in modo da richiamare l’atmosfera dello studiodell’artista e lo spirito del suo archivio. Il Grande Teatro delle Civiltà è anche il punto di partenza per scoprire le altre opere di Pomodoro collocate a Roma e nel mondo, un’occasione per approfondire la conoscenza della ricerca dell’artista e il suo rapporto con la “città eterna”.